Dio attraverso la personificazione personale: il dialogo con l'Assolut

I credenti danno consapevolmente a Dio un nome e un'immagine specifici per stabilire un dialogo reale e comprensibile tra l'uomo e l'Assoluto. Al centro di questa idea c'è il bisogno della mente umana di comunicare con un altro soggetto: quando chiamiamo l'interlocutore per nome, ci avviciniamo a lui, rendendo la comunicazione più personale. Un tale approccio aiuta le persone a comprendere la parte del divino di cui la loro mente è capace, anche se la vera essenza di Dio rimane illimitata e irraggiungibile.

In questa concezione del sapere religioso, ogni dettaglio è importante, dall'immagine alle rappresentazioni simboliche che non solo limitano il Divino, ma fungono da ponte verso di esso. Ogni religione, formando la propria idea di Dio, permette ai suoi seguaci di stabilire con Lui un dialogo unico, attraverso il quale traggono guida spirituale e forza per la crescita personale. Un approccio così energico e vivo sottolinea che la fede è, prima di tutto, un incontro vivo con la Personalità, capace di trasformare la vita di una persona.

Di conseguenza, il desiderio di dialogo con Dio attraverso nomi e immagini specifiche non solo rende l'Assoluto accessibile alla coscienza umana, ma apre anche la strada a una profonda comunicazione interiore, rafforzando le basi spirituali e permettendo a tutti di trovare la propria comprensione dell'eterno e dell'incommensurabile.

Perché i credenti danno a Dio un nome e una forma specifici, limitando così la sua infinità?

I credenti danno a Dio un nome e un'immagine specifici per un motivo: ciò avviene per stabilire con Lui una comunione personale, tangibile, comprensibile alla mente umana. La limitazione del Divino infinito non significa che la vera essenza di Dio si esaurisca in una data forma o nome, ma piuttosto riflette il metodo con cui le persone possono avvicinarsi all'Assoluto. Come dice una fonte:

"Ma l'adorazione di Lui richiede necessariamente una certa idea di Lui, richiede la Sua immagine tangibile (concettuale, simbolica, iconografica...). Pertanto, ogni religione ha la propria immagine di Dio, che determina non solo i suoi insegnamenti dottrinali, spirituali e morali, ma anche la vita spirituale del credente. E quindi è questa immagine che è la vera religione data da Dio. Cioè, ogni religione adora il proprio Dio". (Fonte: link txt)

Questo approccio nasce dalla naturale necessità umana di entrare in dialogo con l'interlocutore. Un'altra fonte spiega che per stabilire la comunicazione è necessario rivolgersi all'interlocutore per nome, il che permette di passare da una rappresentazione astratta a un incontro personale:

"La realtà religiosa si rivela come una realtà personalistica. Non un Qualcosa impersonale e indifferente, non un Essere ontologicamente autocompiuto, ma una Personalità vivente si rivolge all'uomo nell'esperienza della comunione con Dio. Ciò significa che la stessa "metodologia" della cognizione religiosa dovrebbe essere costruita sui principi della dialogicità. La prima legge del dialogo lo testimonia: per entrare in comunicazione è necessario rivolgersi all'interlocutore, chiamarlo per nome e rivolgersi a lui". (fonte: link txt)

Così, dando a Dio un nome e una forma specifici, i credenti non limitano tanto la Sua infinità, quanto creano un modo per avvicinarsi a Lui, riconoscendo e sperimentando quella parte del Divino che la mente umana può comprendere. Ciò le conferisce caratteristiche attraverso le quali è possibile stabilire un contatto personale, dialogico, anche se la verità di Dio rimane nella sua infinità e inaccessibilità.

Citazioni a supporto:
"Ma l'adorazione di Lui richiede necessariamente una certa idea di Lui, richiede la Sua immagine tangibile (concettuale, simbolica, iconografica...). Pertanto, ogni religione ha la propria immagine di Dio, che determina non solo i suoi insegnamenti dottrinali, spirituali e morali, ma anche la vita spirituale del credente. E quindi è questa immagine che è la vera religione data da Dio. Cioè, ogni religione adora il proprio Dio". (Fonte: link txt)

"La realtà religiosa si rivela come una realtà personalistica. Non un Qualcosa impersonale e indifferente, non un Essere ontologicamente autocompiuto, ma una Personalità vivente si rivolge all'uomo nell'esperienza della comunione con Dio. Ciò significa che la stessa "metodologia" della cognizione religiosa dovrebbe essere costruita sui principi della dialogicità. La prima legge del dialogo lo testimonia: per entrare in comunicazione è necessario rivolgersi all'interlocutore, chiamarlo per nome e rivolgersi a lui". (fonte: link txt)

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