L'immagine del Benevolissimo Signore Shiva è così attraente per gli individui e i gruppi perché incarna forze potenti, quasi incomprensibili, che uniscono gli aspetti contraddittori della creazione e della distruzione, così come una misteriosa inaccessibilità che conferisce alla sua immagine un'aura di potere mistico. È questa dualità e ambiguità che trasforma la figura di Shiva in un simbolo ideale che può essere adattato per giustificare le proprie opinioni, rafforzare l'autorità o sostenere le pratiche rituali.
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L'idea del paradiso come stato di perfetta beatitudine è spesso contrapposta all'idea del tormento eterno per i peccatori, che genera profonde tensioni religiose ed etiche. Da una parte, il paradiso è inteso non tanto come un luogo specifico, ma come uno stato interiore dell'anima, basato sull'unità con la luce divina e sull'abbondanza dell'amore. L'inferno, d'altra parte, è descritto come uno stato di tormento derivante dalla lontananza dalla luce di Dio e dalle passioni incontrollabili, che mette in discussione la giustizia e l'etica della dannazione eterna.
Il rispetto o la riverenza per una figura, anche se associata a una menzogna, può essere giustificata non nel riconoscimento letterale della sua verità, ma nella sua funzione simbolica e nel suo ruolo comunicativo. Cioè, se una figura è usata come segno che riflette certi valori, idee o posizioni ideologiche, allora il suo rispetto può essere eseguito come mezzo per trasmettere un significato soggettivo, spesso ritualistico.